Roberto Romano, Presidente SIIET: “il nostro Position Paper cambierà l’assistenza infermieristica nell’emergenza territoriale”.
Oggi parliamo di emergenza territoriale e di riforma del Servizio 118/112 in Italia con Roberto Romano, Presidente SIIET. Gli abbiamo posto alcune domande impertinente per capire come si è evoluto e come si evolverà nel prossimo futuro questo specifico ambito dell’assistenza infermieristica. Vediamo cosa e come ha risposto.
Recentemente la sua Società scientifica ha presentato il suo Position Paper per rilanciare l’emergenza territoriale in Italia e offrire più visibilità e riconoscimenti professionali agli Infermieri impegnati nel Servizio 118. Quali sono nel concreto le vostre proposte?
Il position paper che abbiamo pubblicato è il risultato di interlocuzioni, durate mesi ed ancora in corso, con i presidenti delle maggiori società scientifiche e attori di rilievo di livello nazionale nel panorama dell’emergenza urgenza, che già avevano portato a due documenti inter-societari. Tutte queste società, compresa SIIET, stanno convergendo su un’idea unitaria di sistema, ovviamente mantenendo le proprie peculiarità professionali e di competenza, che speriamo porti presto ad una legge di revisione del sistema di emergenza urgenza nazionale. Per quello che concerne SIIET abbiamo provato a focalizzarci su tre binari principali: visione del sistema, organizzazione e personale. Ci siamo espressi sulla necessità di omogeneizzare il sistema.
Non possiamo più permetterci, e se serviva la pandemia lo ha dimostrato ampiamente, di vedere settings di emergenza frammentati e disomogenei addirittura a livello di regioni o aree vaste. Abbiamo poi, punto focale del documento, provato a dare una vera definizione del professionista infermiere che opera nel sistema di emergenza territoriale, definendone anche, ovviamente in maniera alta, le competenze attese. Riteniamo che questo, pensando in particolare alla definizione del professionista, fosse un passaggio fondamentale da compiere per una società come la nostra, che rappresenta e accoglie dentro di se ormai molti degli infermieri che operano nell’emergenza territoriale.
Gli Infermieri dell’Emergenza Territoriale sono da oltre un anno in guerra contro il Coronavirus. Alcuni di loro si sono ammalati, altri sono morti di Covid-19. Non crede che le aziende sanitarie debbano proteggere meglio i loro dipendenti?
La risposta è scontata ed è, ovviamente, sì. Bisogna dire che in questa pandemia abbiamo visto, e ancora stiamo vedendo di tutto. Non si può certo dire che in molti casi non abbia regnato l’improvvisazione. Eppure, viene da pensare, dovrebbe esserci gente pagata per simulare scenari di catastrofe, perché di questo si è trattato, come quella che stiamo vivendo e per trovare soluzioni gestionali e operative concrete. Al contrario i colleghi, più o meno in ogni dove, si sono trovati senza dispositivi di protezione, specie all’inizio, e senza risposte certe sul comportamento da tenere. Questa mancanza di risposte, dovuta anche ad una assoluta confusione che è discesa giù fino dalle principali società scientifiche internazionali, ha in molti casi portato ad un senso di smarrimento generalizzato che in alcuni casi è sfociato anche in panico. SIIET ha creato fin da subito dei gruppi di lavoro specifici per cercare di raccogliere le principali evidenze disponibili in dei documenti fruibili.
Abbiamo scritto documenti, ad esempio, sull’uso dei presidi per ossigenoterapia, per la sanificazione. Questi documenti ci pare siano stati accolti con favore dai colleghi e anche da alcune aziende sanitarie che li hanno utilizzati in maniera operativa.
Anche l’assenza di supporto di tipo psicologico, strutturato, si è fatta sentire. Molti enti, si sono attivati per supplire a questa mancanza. Anche in questo caso SIIET ha fatto la sua parte attivando uno sportello di ascolto psicologico per i propri iscritti che, quasi subito, abbiamo poi allargato anche ai non iscritti. Ovviamente queste sono soluzioni tampone. La realtà è però che, basandoci sulle molte segnalazioni che abbiamo ricevuto da molte parti d’Italia, in molti casi è regnata la confusione. In questi eventi, seppure abbastanza inattesi e poco prevedibili, non possiamo permetterlo e, credo, alla fine di tutto sarà opportuno fare una grossa riflessione su tutto ciò che non ha funzionato.
Gli infermieri, così come le altre professioni, hanno pagato un tributo molto alto di malati e deceduti che forse, con una organizzazione diversa ed ascoltando maggiormente chi sul campo operava ed opera davvero, avrebbe potuto essere limitato.
Di recente in una nostra intervista alla presidente FNOPI Barbara Mangiacavalli abbiamo parlato di SIIET e dell’importanza dell’Infermiere impegnato nell’emergenza territoriale. Si ritrova in quanto riferito dalla rappresentante degli Infermieri italiani e cosa suggerisce alla Federazione per gli impegni/progetti/proposte futuri in questo settore?
Quanto detto dalla presidente ci ha lusingato, perché riconosce l’importanza che società come la nostra hanno nel panorama professionale, e ci trova totalmente d’accordo. Specie nella parte in cui afferma che le società scientifiche dovrebbero essere ascoltate anche nel momento dell’organizzazione del lavoro. Troppo spesso invece esiste una dicotomia tra il lavoro, ed in generale la professione “agita”, e la parte scientifica, che a volte finisce per essere un’appendice del resto, cui guardare solo nel momento del bisogno o per dare validità e legittimazione a quanto si sta facendo. In realtà una professione intellettuale come quella infermieristica non può prescindere dalla parte scientifica, che deve essere non un’appendice ma la base dell’agire quotidiano.
Ovviamente non mi permetto di dare suggerimenti alla nostra federazione nazionale, spero però che si continui con il processo di valorizzazione dell’infermieristica in emergenza urgenza già intrapreso, avendo chiaro che spesso le grandi conquiste della professione sono partite proprio da qui. FNOPI ha composto, nello scorso mandato, un organismo interno di altissimo livello proprio per monitorare quest’area. Speriamo che sia nuovamente formato e che continui il buon lavoro fatto. Speriamo anche che vada avanti il lavoro sulla valorizzazione delle competenze e sulle specializzazioni. Credo che gli infermieri non possano attendere ancora oltre su questo versante, per poter fornire assistenza con sempre maggiore competenza .
Nell’emergenza territoriale continua ad esserci una dicotomia tra responsabilità e competente Mediche ed Infermieristiche. In altre parti del mondo, soprattutto negli USA, il ruolo del Professionista Infermiere è chiaro e ben definito. Nel nostro Paese ciò non accade, come mai secondo Lei? E su cosa gli Infermieri si devono battere per farsi riconoscere le competenze reali nell’emergenza-urgenza?
Gli infermieri pagano un peccato originale che ha radici in una riforma, quella della metà degli anni ’90, fatta in maniera forse incompleta e poco coraggiosa. Troppe tipologie di professionista da quel periodo ad oggi, sotto lo stesso nome, con bagagli di competenze troppo difformi. Oggi abbiamo dottori di ricerca, o laureati magistrali, accanto a colleghi che sono rimasti al diploma regionale senza, in molti casi, fare passi concreti per la loro formazione in anni e anni, che si trovano nelle unità operative a fare le stesse cose. Non sto facendo un discorso su chi è più preparato, anche perché la risposta potrebbe in molti casi non essere così scontata. E’ indubbio, però, che una forbice così larga di competenze e di figure, a volte molto diverse come impostazione mentale e culturale, poste sotto la stessa bandiera è complessa da gestire e da far riconoscere in maniera univoca. In altri Paesi non è così. Tutto è maggiormente definito e i livelli di competenza e le attribuzioni di ruolo sono estremamente ben riconosciuti, da ogni punto di vista, e riconoscibili.
Per quello che concerne l’emergenza urgenza tanto è stato già fatto in termini
di riconoscimento ma ancora qualcosa resta da fare. Dobbiamo, soprattutto, smettere di essere l’eterna Cenerentola che muove i propri passi, o non li muove, su gentile concessione di altre figure. Dobbiamo pretendere che il ruolo ci sia riconosciuto per legge (da questo il nostro position paper e l’attività politica connessa), che non sia discutibile e che sia retribuito per ciò che realmente vale, giusto per ricordare a qualcuno che anche gli eroi pagano le bollette.
Dobbiamo però anche guardarci in casa, per i motivi che dicevo prima, ed iniziare a remare tutti nella stessa direzione. Il sistema di emergenza, e l’infermieristica in esso, deve evolvere e non ha probabilmente più spazio per i colleghi che si nascondono, ancora oggi, dietro la responsabilità del medico abdicando alla propria.
Anche il rapporto con gli Autisti e i Soccorritori è da ridefinire. Spesso durante un soccorso i ruoli si mescolano e ci si ritrova di fronte ad Autisti e Soccorritori che sono costretti ad abusare della professione Medica e Infermieristica. Non crede che una regolamentazione di queste due figure professionali, con la definizione dei loro ruoli reali, possa agevolare e migliorare l’assistenza reale nell’emergenza-urgenza?
L’abuso, dove esiste, deve cessare e deve essere pesantemente sanzionato, sia nei confronti di chi lo compie che in quelli di chi lo permette. Autisti e soccorritori, però, sono una risorsa imprescindibile di sistema e, a nostro, avviso, non è più possibile ritardare oltre la definizione, normata, del ruolo.
A questo proposito abbiamo dedicato a loro uno spazio nel nostro position paper. Ovviamente bisogna sempre ben distinguere i livelli di assistenza erogabili da ogni figura che opera nel sistema, evitando di sprecare risorse altamente professionalizzate dove non servono o di utilizzare risorse con bassa capacità assistenziale su eventi complessi o che richiedono la presenza di professionisti sanitari in singolo o addirittura in equipe. Anche su questo versante, specialmente in alcune regioni del Paese, esistono un po’ di confusione e qualche modello operativo obiettivamente discutibile.
Da presidente della SIIET punta molto sulla formazione degli Infermieri dell’Emergenza-Urgenza. A spese della sua società scientifica continuate a proporre eventi formativi di altissimo livello preparatorio. Non crede, tuttavia, che questo ruolo debba essere affidato a specifici percorsi universitari finalmente riconosciuti e qualificati? Da tempo, per esempio, si pensa ad una Laurea Specialistica nell’emergenza territoriale e nell’area critica, ma finora poco si è visto, se non pochi annunci…
La formazione degli iscritti, e non solo, è uno dei compiti che ci siamo dati a livello statutario e cerchiamo di erogarla, pure essendo solo all’inizio del percorso, nella maniera più mirata e col massimo livello di impegno e qualità possibile.
Questo ovviamente non può sostituire il livello universitario ma solo affiancarcisi, cercando di creare dei focus su argomenti importanti per l’agire quotidiano dei professionisti. A questo scopo abbiamo creato, in maniera che lavorino in sinergia col nostro comitato scientifico, delle facoulty tematiche che sviluppino progetti formativi ma, soprattutto, cultura su specifici temi.
Come dicevo prima riteniamo comunque che il momento sia maturo per creare un livello specialistico nella nostra area. Che si parli di laurea magistrale clinica o specializzazione è un tema interessante, su cui saremo pronti a dire la nostra se e quando FNOPI vorrà ascoltarci in merito. I master sono al momento, purtroppo, l’unico livello specialistico riconosciuto anche contrattualmente. Su questi però c’è una grossa revisione da fare di tipo qualitativo e sulla reale spendibilità, affinché non diventino solo una opportunità di guadagno per chi li eroga.
La SIIET è presente in tutte le regioni italiane, con minore consistenza però nel Sud Italia. Cosa intende fare in futuro per far conoscere la sua organizzazione anche tra i colleghi operanti nel Meridione?
Stiamo lavorando in questo senso, perché riteniamo strategica una presenza di un gruppo SIIET formato e stabile in ogni regione d’Italia. Ancora non abbiamo raggiunto questo obbiettivo, anche se non siamo lontani, e stiamo lavorando proprio in questo periodo a formare un gruppo stabile in Sicilia.
La problematica di SIIET nel fare iscritti in alcune regioni è, a nostro avviso, strettamente legata ai modelli organizzativi presenti in esse. Dove gli infermieri appartengono ad aziende sanitarie pubbliche, e sono strutturati in esse, è più facile. Dove i sistemi, al contrario, prevedono la presenza di colleghi che fanno capo a cooperative, studi privati o hanno, in generale, rapporti col sistema di tipo libero professionale è più complesso. Questo ci pone delle domande di vario genere, in alcuni casi sul tipo di sistemi in cui questi colleghi operano, su come lo fanno e su quanto l’attività scientifica è valorizzata e incentivata in essi. In ogni caso noi ci siamo e continueremo a proporci ai colleghi, perché non è il tipo di contratto che fa un professionista ma lo è la possibilità di aggiornarsi continuamente e di fornire ai propri pazienti una assistenza basata sulle evidenze scientifiche, anche mettendo in discussione il sempre presente “si è sempre fatto così”.
E passiamo ad una nota dolente. L’organizzazione territoriale dell’emergenza urgenza, come per il resto dell’assistenza sanitaria, non ha una vision nazionale, ma è affidata spesso all’esperienza o inesperienza di direttori aziendali del Servizio 118/112 che crea disparità di trattamenti tra regioni, con presenze di eccellenze al Sud come al Nord, passando per le Isole maggiori e per il Centro Italia. Non crede che sia giunto il momento di unificare l’ambito attraverso un coordinamento interregionale e centrale del settore? Forse il vostro Position Pater potrebbe servire anche a tale scopo?
Vero, l’ho detto anche prima, ma non sono certo dell’utilità di un coordinamento centrale. Resta sempre attuale il Titolo V della Costituzione. Importante è definire con una normativa ad hoc quali sono i livelli di minima del sistema. E’ questo il senso del lavoro che stiamo facendo con molte altre società di settore e del nostro position paper. Ovviamente, come dicevo prima e mi è già capitato di dire in passato, non ritengo più funzionale, per il sistema prima ancora che per la professione che esercito, che altre figure professionali decidano come, quando e se collocarci nel sistema di emergenza e con quali competenze. Il discorso è però più ampio e non tocca solo gli infermieri. C’è necessità di riscrivere totalmente il sistema, prendendo atto di tutti i cambiamenti avvenuti, in primis nell’area infermieristica, ma non solo, negli ultimi 25 anni. I tempi sono maturi, e di acqua ne è passata sotto i ponti dal 1992. Serve però un po’ di coraggio, almeno per non perdere l’ennesimo treno ma per provare, magari per una volta tutti insieme, specie medici ed infermieri, a salirci per cambiare le cose e dare al Paese un sistema di emergenza moderno e dinamico.
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