Quel concetto di esclusività che poco piace
- Social media manager
- 2 apr
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Un passaggio apparentemente innocuo e inserito fuori contesto. È proprio grazie al grido d’allarme lanciato da alcuni professionisti che prendiamo coscienza della volontà mai sopita di normare l’atto medico, volontà che trova spazio nel Disegno di Legge n. 1241, "Misure di garanzia per l'erogazione delle prestazioni sanitarie e altre disposizioni in materia sanitaria".
Nel primo articolo del Capo I troviamo una formulazione che inevitabilmente invita a riflettere sulle reali intenzioni che hanno spinto il legislatore a inserirla. Ci riferiamo al passaggio in cui si afferma che al medico "compete in maniera esclusiva" la diagnosi, la prognosi e la terapia. Subito dopo, il testo apre all’ambito prescrittivo, ma quella parola, "esclusiva", risuona con forza e merita un’attenta analisi.
Che al medico spettino la diagnosi, la formulazione della prognosi e l'indicazione terapeutica è un’affermazione certamente condivisibile. Tuttavia, ciò che colpisce non è la citazione di queste competenze, bensì il concetto di esclusività che le precede, il quale appare limitante in un sistema sanitario sempre più orientato alla multidisciplinarietà.
Questo concetto ci riporta a un paradigma ormai superato, quello del secolo scorso, definito "disease-centered", mentre oggi si adotta il "patient-centered care", un modello in cui tutti gli operatori sanitari, medici inclusi, cooperano per il benessere della persona assistita.
Vogliamo evidenziare che tale concetto sembra evocare un’epoca in cui il paradigma biomedico era ben radicato nella società, paradigma dal quale oggi stiamo faticosamente e progressivamente emancipandoci.
Perché allora ribadire il concetto di esclusività, quasi fosse sinonimo di unicità? Perché riproporre un'idea che ignora i paradigmi più recenti della cura, basati su un sapere condiviso e una presa in carico realmente multidisciplinare della persona assistita?
È necessario chiarire che esclusività non significa unicità: il medico non è l'unico attore del processo di cura. Affermare il contrario significherebbe trascurare il contributo, oggi più che mai essenziale, di tutte le altre professioni sanitarie, a partire da quella infermieristica, le cui competenze, esperienze e prospettive arricchiscono il processo assistenziale e migliorano gli esiti per il paziente in tutte le sue fasi, soprattutto in quelle emergenziali.
Un sistema sanitario che considera determinate competenze come esclusive di una sola professione, trattandola implicitamente come unica depositaria del sapere e delle azioni, impoverisce sé stesso e contrasta con le evidenze internazionali.
Questa visione riduce la ricchezza del sapere, ostacola l’integrazione dei team multidisciplinari e limita il pieno sviluppo delle altre figure sanitarie. Ne deriva un approccio meno attento alla complessità della persona assistita, con un impatto negativo sull’efficienza e sull’efficacia delle cure erogate.
Immaginiamo le conseguenze se questo concetto di esclusività venisse applicato ad altri contesti, come, ad esempio, le cure intensive, l'assistenza domiciliare e le emergenze intra e pre-ospedaliere. Cosa accadrebbe se un paziente in triage non dovesse ricevere sollievo dal suo dolore? Oppure se, davanti a una grave reazione allergica, si ritardasse la somministrazione di un farmaco salvavita perché chi ha le competenze per farlo non è legittimato ad agire? E quanto valore aggiunto perderemmo se agli infermieri fosse negata l’autonomia di intervenire tempestivamente nelle cure domiciliari?
È certamente appropriato parlare di esclusività laddove questa abbia realmente senso, ad esempio nella diagnosi medica. Tuttavia, è altrettanto doveroso riconoscere che la cura della persona, nel 2025, non può essere appannaggio esclusivo di una sola professione sanitaria. È evidente, infatti, che la diagnosi non è esclusivamente quella medica, come già dimostrato dalle esperienze di prescrizione infermieristica in altri Paesi.
Oggi è fondamentale promuovere una mentalità orientata al miglioramento e al cambiamento culturale, rispondendo così anche alle richieste esplicite dei pazienti. È necessario valorizzare il sapere di ogni singola professione sanitaria che ogni giorno, con dedizione e competenza, si prende cura delle persone rispondendo ai loro molteplici bisogni di salute.
In un sistema sanitario già profondamente impoverito dal punto di vista economico, cerchiamo almeno di non impoverirlo ulteriormente sotto il profilo culturale e professionale.
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